Vola solo chi osa farlo.

Per motivarci in questo periodo di trasformazione, vi proponiamo una bellissima frase di Luis Sepùlveda, tratta dal libro “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare“, come segno di vicinanza e affetto nei confronti dello scrittore cileno da poco scomparso.
Vola solo chi osa farlo” è una meravigliosa frase che ci invita a riflettere sul coraggio.

«Mio nonno, un formidabile anarchico andaluso mi ha fatto il più bel regalo che si potesse fare a un bambino: avevo otto anni quando mi ha iniziato a leggere il Don Chisciotte. La lettura si è protratta fino ai 12 anni. La mia vocazione letteraria, o per meglio dire, il mio gusto si è formato lì».

Non solo Cervantes ma anche Melville, Verne, Hemingway, Salgari e Conrad. Un’educazione sentimentale all’insegna del viaggio e dell’ideale che ha cresciuto un uomo errabondo e combattente, narratore instancabile e infaticabile sognatore: Luis Sepúlveda, scrittore cileno, nato a Ovalle, da nonno anarchico in esilio e padre comunista, cresciuto nella coloratissima Valparaíso è morto di coronavirus il 16 aprile nelle Asturie che da anni erano diventate la sua casa, un secondo Oceano verso cui affacciarsi. Aveva settantanni ed una produzione vastissima e variegata alle spalle, che però, persino in questi giorni di lutto, ha fatto spesso storcere il naso a quei ‘puristi’ della letteratura e a tutti gli amanti di classifiche e scale di valori, come se il fatto di essere comprensibile, popolare e trasversale sia un peccato endemico per cui chieder perdono.

Luis Sepúlveda è come un donchisciotte, altrettanto fantasioso e molto più impegnato, quasi un personaggio mitico la cui straordinaria biografia, laddove la Storia non interviene in nostro aiuto, ci porta a perderci in terreni in cui il confine tra realtà e finzione non sempre è certo.

Sappiamo che lo scrittore si iscrisse giovanissimo al Partito Comunista, che nel 1969 vinse un premio letterario che lo avrebbe portato per 5 anni all’Università Lomonosov di Mosca ma che le cose non andarono per il verso programmato per via delle tensioni con il partito – insofferenza che stava maturando già da qualche anno- e che ben presto da quel partito sarebbe stato espulso. Dopo un primo periodo errabondo tornò in patria, studiò teatro e si iscrisse al Partito Socialista guidato da Salvador Allende, entrando a far parte della sua guardia personale, i GAP. A lui restò fedele fino alla fine, fino a quell’11 settembre del 1973 quando i bombardamenti della giunta militare di Pinochet non risparmiarono neanche lo storico palazzo presidenziale della Moneda. «Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!» sono le ultime parole del presidente Allende che rimarranno per sempre in eredità alla storia e che avranno un’eco (forse) inaspettata anche nel nostro continente e nella nostra piccola Italia, come riporta Nanni Moretti nel suo ultimo documentario Santiago, Italia.

Come tutti gli oppositori del neonato regime Sepúlveda e sua moglie, la poetessa Carmen Yáñez, furono imprigionati e torturati. Entrambi riuscirono a evitare la morte. Dopo la liberazione, fortemente voluta dalla comunità intellettuale internazionale, iniziò il suo esilio errante: viaggiò per l’Europa ed in altri paesi dell’America Latina con la volontà di mettere in atto quei principi di internazionalismo su cui si era formato, combattendo per la liberazione di altri popoli e dando voce ad altre cause, come quelle delle popolazioni indigene – il suo stesso cognome tradisce un’origine Mapuche, popolo che lotta ancora oggi contro il disboscamento delle loro foreste e che subisce una vera e propria persecuzione politica – . La sua fiaba Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltàdi cui ha parlato qualche anno fa al Salone del libro di Torino, omaggia questo importante patrimonio culturale troppo spesso dimenticato, ed il libro che lo portò al successo internazionale nel 1989 Il vecchio che leggeva romanzi d’amore è il frutto di un lungo periodo passato nella selva amazzonica tra gli indios.

Dopo i tanti viaggi sempre instancabilmente appuntati su taccuini e taccuini sul finire degli anni Ottanta arrivò anche per il grande nomade il momento di fermarsi, non a caso in uno dei punti più estremi dell’Europa, nel piccolo villaggio spagnolo di Guijòn, celebre per il sidro artigianale e per la corrida, ma soprattutto rigorosamente fronte all’oceano, per non dimenticare quello spirito da viaggiatore scolpito nel suo essere. Qui però non si è fermato nell’attività incessante di scrivere, s’inaugurò anzi la stagione più prolifica della sua carriera, dominata da un’esplorazione senza tregua né remore di molti terreni letterari anche inconsueti, dal noir, al sentimentale a quella letteratura per l’infanzia, ‘minore’ per costituzione, dando vita così a dei personaggi assolutamente indimenticabili.

Oggi che è morto, molti, quasi tutti ad esser sinceri, lo ricordano (merito certamente anche di Enzo D’Alò che nel 1998 ne ha portato sullo schermo un bellissimo adattamento) con l’immagine della gabbianella orfana educata dal grasso gatto nero Zorba.

La frase di Luis Sepùlveda “Vola solo chi osa farlo” rappresenta un momento cruciale del romanzo, quando la gabbianella spicca finalmente il volo, dimostrando al mondo e a sé stessa che il vero segreto per volare risiede nel coraggio. Per librarsi nell’aria e volare liberi sul mondo, occorre abbandonare le proprie sicurezze e spiccare il volo verso una dimensione ancora ignota e tutta da scoprire. Nessuno, infatti, può davvero insegnarci a volare, se non troviamo il coraggio di buttarci nel vuoto e scoprire che siamo in grado di farlo.

Bene, gatto. Ci siamo riusciti – disse sospirando – Sì, sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante – miagolò – Ah sì? E cosa ha capito? – chiese l’umano – Che vola solo chi osa farlo – miagolò Zorba.

Luis Sepulveda

Luis Sepulveda

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